martedì 29 novembre 2011

Per un capitalismo dal volto umano

Alexander Dubcek leader della primavera di Praga fece titolare la sua biografia “un comunista dal volto umano”. Tutti sappiamo, purtroppo, come è finito il suo tentativo.
Dubcek, nelle sue memorie, onestamente ammise di avere errato nella interpretazione del pensiero della leadership sovietica, scrive: quella notte (quando arrivarono i carri armati sovietici) compresi quanto profondo fosse stato il mio sbaglio, le esperienze drastiche dei giorni e dei mesi che seguirono mi fecero capire che avevo a che fare con dei gangster”.
Dunque, dei funzionari di partito, anche uomini di Stato, pur di non deviare dalla strada che li aveva portati al potere che li aveva trasformati in casta, pur di non riformare lo status del potere che rappresentavano, dimenticando i principi filosofici di libertà ed uguaglianza a cui la loro dottrina si era ispirata, almeno nella fase iniziale, si trasformano, agli occhi di Dubcek, in gangster.
Eppure, quegli stessi funzionari di partito e/o uomini di Stato dicevano di agire in nome e per conto del popolo così come i monarchi del secolo precedente compivano angherie per volontà di Dio e della nazione.
Il senso è:  nel mondo cambiano gli orchestrali ma la musica è sempre la stessa.
Perché la leadership sovietica non consentiva riforme del sistema?
Perché nella storia dell’umanità i cambiamenti sociali sono avvenuti solo dopo sacrifici e lotte.
Infatti, Popper affermava che un sistema democratico resta tale solo se il popolo vigila attentamente sui suoi governanti, cioè si guadagna quotidianamente le libertà democratiche.
Avviene ciò?
La storia, dunque, la fa il popolo o come sosteneva Marx la fanno i potentati economici per motivi d’interesse?
Per rispondere occorrerebbero lunghe disquisizioni ed autentici filosofi.
Possiamo solo dire che ad un capitalismo senza scrupoli è seguito, in alcuni paesi, un comunismo perplesso, indeciso ed ansioso che ha lasciato in eredità un nuovo capitalismo selvaggio che ha elevato le leggi del profitto alla voglia di accaparramento.
Riusciremo, nel prossimo futuro ad avere un capitalismo dal volto umano?
Io credo di no, fino a quando il popolo non troverà la forza e soprattutto la guida per ribellarsi ai Marchionne di tutto il mondo.
Gad Lerner, nella sua gradevole trasmissione del lunedì, ha trovato il coraggio, di questi tempi ce ne vuole tanto, per riproporci un filmato su Marx con qualche interrogativo di fondo.
Se si può riparlare di Marx è bene ricordare che disse:
eppure, tutta la storia dell’industria moderna mostra che il capitale, se non gli vengono posti dei freni, lavora senza scrupoli e senza misericordia per precipitare tutta la classe operaia ad un livello di profonda degradazione.
Quando qualcuno ci parlerà di Marx sarà bene cominciare a meditare.

giovedì 17 novembre 2011

elogio alla illegalità


Il Signore Iddio dopo aver creato il cielo e la terra, il paradiso e l’inferno creò l’uomo e la donna mettendo a loro disposizione tutto quello che vedevano. Tutto, escluso il frutto di un solo albero.
In breve creò la legge. 
Mise da un lato, entro la legge, il tutto meno uno e dall’altro, al di fuori della legge, il frutto di un solo albero.  Come è andata lo sappiamo tutti, il bisogno di infrangere la legge fu talmente grande che l’uomo e la donna rifiutarono il tutto meno uno perché volevano il tutto nella sua interezza.
Dunque, nessun uomo al mondo, nemmeno il primo in assoluto, può dire di non aver infranto la legge almeno una volta nella sua vita.
Eppure l’uomo in tutta la storia dell’umanità ha sempre lottato per regolamentare i rapporti umani, anche la religione stessa è ricorsa ai Comandamenti per stabilire quello che è dentro e quello che è fuori dalla legge di Dio.
Quelli che sono stati chiamati a fare leggi, in ogni tempo ed in ogni luogo, hanno affermato che questa, la legge, serviva ad evitare il sopruso del più forte sul più debole.
Anche qui sappiamo come è andata e come va ancora.
Dunque, sembra che l’illegalità, o quantomeno il bisogno di illegalità, sia l’energia più grande che fa muovere il mondo e “regola” i rapporti tra esseri umani.
Il “regola” tra virgolette è d’obbligo poiché potrebbe essere la stessa illegalità il volano che propone la legge.  Absit iniuria verbis.
Dal dizionario enciclopedico marxista (Marx è stato un celebre propugnatore di illegalità, ha studiato e teorizzato l’uguaglianza) leggiamo che l’economia può essere intesa come la base materiale, il fondamento, della vita umana e della società, dunque, seguendo il nostro strano ragionamento, essendo l’economia fatta di regole dovrebbe essere propugnatrice anch’essa di diffusa illegalità.
Quali leve del mondo economico muove la illegalità?
Se c’é una legge bisogna pagare chi la fa e chi la deve far osservare.
Parlamentari, poliziotti e giudici esistono e li dobbiamo pagare per stabilire cosa e legale da cosa non lo è, e per stabilire, nel caso di illegalità, cosa deve accadere a chi infrange la legge.
Pertanto, i costi che ogni società, democratica o meno, si accolla per tenere in vita il potere legislativo, esecutivo e giudiziario sono dovuti alla illegalità.
Ragionando per assurdo, come in un teorema di geometria euclidea, se non ci fosse l’illegalità non avremmo bisogno dello Stato e dei suoi organi principali. Saremmo un paradiso.
Ma siccome in paradiso si è perpetrata la prima illegalità vuol dire che la illegalità stessa esiste, è connaturata in ogni società umana e qualunque sia l’epoca, la religione o la forma dello Stato le società degli uomini basano le loro fondamenta sull’abuso, anche se lo motivano come lotta all’illecito.
Sembra assurdo ma bisogna adeguarsi.
Se la protagonista del nostro ragionamento, la illegalità, sentendosi elogiata come la follia da parte di Erasmo da Rotterdam, in un sussulto di liberazione dell’inconscio potrebbe aprirsi e farci notare molte cose circa il nostro vivere quotidiano.
Potrebbe dirci, per esempio, che dobbiamo essere molto grati all’evasore fiscale e farci rivalutare molte fasi di azioni del governo che ci sono sembrate assurde.
Come dall’invenzione dei fratelli Wright è nata una economia ed attività su cui si basano molti posti di lavoro: piloti, hostess, società aeronautiche, operai, progettisti, ecc. ecc..
Così dall’evasore fiscale derivano attività economiche e posti di lavoro: guardia di finanza, impiegati ufficio imposte, ragionieri, programmatori software, giudici delle commissioni tributarie, commercialisti manipolatori del dato di bilancio, banche, banchieri e bancari, ecc. ecc.., un esercito di persone che guadagna e vive sulla esistenza dell’evasione fiscale.

Quali lavori e guadagni nascono dall’esistenza del cittadino onesto?
Il cittadino onesto appare sempre più come una grigia persona, ottusa e prevedibile, un’esistenza piatta e priva di brio, uno champagne senza effervescenza e bollicine. Il cittadino onesto non da e non riceve emozioni.  Vuoi mettere i turbamenti, le suggestioni, le trepidazioni che da l’evasore fiscale. 
L’evasore fiscale meriterebbe almeno l’intitolazione di una piazza in ogni comune d’Italia.
Dove abiti?   Abito in piazza dell’evasore fiscale.
I costi dei palazzi sia nella piazza che nella zona salirebbero ed i proprietari affitterebbero gli appartamenti sicuramente in nero, per non venir meno a quanto nell’immaginario collettivo si aspettano tutti.
La stragrande maggioranza dei cittadini, perlomeno in Italia, sono evasori fiscali, ci sono quelli che evadono l’intera torta e quelli che, loro malgrado, sono costretti ad evadere le briciole.
I secondi parlano con disprezzo, ed invidia segreta, dei primi ed essendo maggioranza nel paese, gli ingenui sono sempre in maggioranza, peccato che non se ne accorgono, eleggono a governarli i primi.
I primi, cioè i furbi, quelli che amano praticare la illegalità e dunque l’evasione fiscale, nel fare le leggi si fanno anche qualche sconto nel caso vengano colti con le mani nel sacco.
Esempio, depenalizzano il falso in bilancio.
Insomma, non tutti sono professionalmente preparati per coltivare l’illegalità ammantata da legalità,
e come abbiamo visto è su questi geni che si basa l’economia e lo stesso bisogno dello Stato.
Il volerli anche punire sembra inconcepibile.
Per loro dovrebbe entrare in vigore la legge della perenne immunità.
Potremmo punire Leonardo da Vinci per il suo ingegno?
Loro sono più ingegnosi di Leonardo.
Potremmo punire Mozart per la sua musica?
Loro sono più melodiosi di Mozart.
Potremmo punire Maradona per il modo sublime di giocare a pallone?
Loro sono più fantasiosi di Maradona.
Allo stesso modo non possiamo punire il Leonardo della illegalità, il Mozart dell’evasione, il Maradona dei sogni inutili ma aggreganti.
Cittadini italiani dobbiamo essere comprensivi con chi si è assunta sempre la responsabilità di proporre a tutti la sua legalità, come uno studioso di fisica ha voluto vedere cosa succedeva ad invertire i poli.
E cosa è successo?  Nulla!
I ladri si sono travestiti da guardie e le guardie sono rimaste nude, ma tutto è rimasto come prima, o quasi.
L’unica cosa che ci resta da sperare è che gli Schopenhauer, quelli che filosoficamente considerano la vita una perenne oscillazione tra il dolore e la noia, nel tornare al potere ritrovino almeno un leggero sorriso.
Altrimenti, sarebbe la catastrofe, rischiamo di tornare ai cineclub che proiettano la Corazzata Potemkin.

                                                                         giuseppe vella

domenica 13 novembre 2011

Democrazia e Globalizzazione


Il direttore del giornale “Il Foglio”, Giuliano Ferrara, ha detto che fino a qualche decennio fa le guerre si combattevano con le armi pesanti e gli eserciti bene armati, cioè con la ricchezza, oggi si combattono a colpi di spread, cioè con la ricchezza. Cosa è cambiato? Ci siamo evoluti, non abbiamo più bisogno di conquistare tramite diretto versamento di sangue. Il sangue lo si fa versare dopo con il lavoro a basso costo. Come sempre: guai ai vinti.  Il più ricco resta sempre tale. Gli ideali giovanili di Giuliano Ferrara non si sono realizzati. Anche perché, forse, non sono stati perseguiti con logica, competenza e rigore.
In un mondo dove la sola ideologia esistente è quella del “mercato selvaggio” la guerra a colpi di spread non ha molto di scandaloso. È la lotta per il benessere di un popolo sull’altro e la democrazia è sovietizzata, cioè a sovranità limitata. Dunque se uno Stato, attraverso gestioni allegre della finanza pubblica, si fa finanziare il debito da banche e paesi stranieri non ha più il diritto di gridare al golpe se, raggiunto il punto di quasi non ritorno, i finanziatori si presentano alla porta con il curatore fallimentare.
Mario Monti, il professore di economia conosciuto e stimato dai nostri creditori, dopo aver rifiutato in varie occasioni la possibilità di ricoprire ruoli politici di prestigio, è rimasto vittima del suo prestigio, speriamo sia solo questo, ed è stato costretto ad accettare, quasi come curatore fallimentare, la guida di una squadra già con un piede in serie B.
Comunque, se un paese può indebitarsi fino a rasentare la bancarotta di Stato, se il popolo non reagisce di fronte alle ingiustizie ed alle ineguaglianze, se non ci sono leggi che impongono lo stop allo spreco, non ad un passo dal fallimento ma al primo accenno di debito non risolvibile, vuol dire che i principi democratici tanto sbandierati hanno al loro interno un handicap che dobbiamo immediatamente curare e di cui dobbiamo al più presto liberarci.
Significa che la democrazia è malata, e non basterà curarla dimezzando i parlamentari e cancellando una delle istituzioni più antiche e più vicine al popolo, le provincie, significa che serviranno a ben poco le lacrime e sangue che i ceti meno abbienti dovranno versare. Le misure anticrisi saranno solo palliativi se non si riconosce e si annienta l’agente infettante, il batterio killer che uccide lo Stato democratico.
Il vero problema italiano è la selezione della classe dirigente, ascoltare i dibattiti parlamentari o i talk show televisivi non è mai stato così penoso come dall’inizio della cosiddetta seconda repubblica.  Più il politico è incompetente più viene invitato a parlare e più il popolo si abbassa al suo livello. Ovviamente non mi riferisco ai facili obiettivi zimbello ma a quelli che sono addirittura considerati la leadership di formazioni politiche che si arrogano, per puro interesse, il diritto di chiamarsi partiti. 
Riuscirà il popolo con una nuova legge elettorale e la reintroduzione della preferenza a colmare questo gap e selezionare una classe dirigente più credibile, onesta e competente?  Io non ci credo.
Allora?    Non lo so, se lo sapessi mi proporrei come politico.
Forse dovremo ricontrollare se il suffragio universale è una conquista democratica o una iattura.
Forse dovremo stabilire dei limiti seri alla possibilità di eleggere uomini che per scelte di vita hanno svolto e svolgono professioni che non si conciliano, se non dopo almeno un decennio di inattività, con l’assunzione di importanti cariche dello Stato. 
Esempio:
  • può il commercialista degli dei fare anche il ministro delle finanze del cittadino medio?
  • può l’imprenditore di successo fare il parlamentare e legiferare su materie che potrebbero vederlo coinvolto come imprenditore?
  • può il giudice che porta a termine un’inchiesta di successo su politici e/o imprenditori legati alla politica, appendere la toga ed indossare subito dopo la casacca del politico?
  • può l’alto vertice militare, che ha raggiunto l’alto grado anche in virtù di scelte politiche, spogliarsi della divisa e diventare legislatore?
Forse dovremmo ritornare a partiti che svolgono realmente il ruolo di interfaccia tra amministratori ed amministrati ma soprattutto che ritornino ad aprire le loro porte alla società assumendosi il compito di selezionare la classe politica di ogni ordine e grado.
Basta con il ricorso indiscriminato alla società civile, basta con gli accademici di successo, con gli imprenditori da talk show, con i magistrati d’assalto e via di seguito.
De Gasperi, Nenni, Malagodi, Berliguer, Almirante sono nati e cresciuti nelle sezioni di partito dove si dialogava con l’iscritto che non aveva assunto ancora il ruolo di semplice tessera. Fino a quando i politici guarderanno la società civile dalle finestre del palazzo il cittadino sarà solo un passante visto da lontano. Facciamo in modo che siano i cittadini a guardare nelle finestre del palazzo, anzi facciamo si che le mura del palazzo siano di vetro e che chiunque passi possa vedere cosa accade.
                                                                                              giuseppe vella
    

giovedì 3 novembre 2011

lettera aperta al Presidente del Consiglio



Illustre Signor Presidente,
sono un pubblico dipendente e mi onoro di esserlo, ho sempre cercato di lavorare affinché potessi considerare quanto ricevo a fine mese uno stipendio e non una refurtiva.
Non so come si scrive e come si invia una lettera aperta, appena finita la chiuderò nella classica bottiglia e l’affiderò alle onde del mare di internet, sperando che qualcuno la faccia arrivare fino a Lei.
Dopo gli apprezzamenti di S.E. il Ministro Brunetta ora, per i pubblici dipendenti, arrivano considerazioni poco lusinghiere da parte di tutto il Governo.  Riporto parte del testo della lettera inviata dal Governo italiano alla UE:  
Modernizzazione della pubblica amministrazione La pubblica amministrazione è un volano fondamentale della crescita. Stiamo creando le condizioni perché la pubblica amministrazione sia pronta ad accompagnare la ripresa, svolgendo una funzione di servizio allo sviluppo e non di zavorra burocratica. 
Da un lato il Governo considera la pubblica amministrazione un volano fondamentale della crescita, dall’altro la vede come una zavorra burocratica. Non so come sentirmi: un volano per la crescita o una zavorra che frena e crea problemi.
Probabilmente, nella fretta di scrivere la lettera, il Governo ha dimenticato che, tranne per l’infausto periodo del Governo Prodi che, a Suo dire Signor Presidente, tante difficoltà e preoccupazioni ha creato agli italiani, dal 2001 Lei ha presieduto gli altri Governi. Resta da chiarire se i suoi grandi successi governativi, quelli che La hanno autorizzato a considerarsi il più grande statista degli ultimi 150 anni, li abbia conseguiti nonostante la zavorra oppure grazie ad un volano fondamentale per la crescita.
Prima del Suo arrivo al Governo, eravamo il 15%  in meno della media dei paesi civili e guadagnavamo, sempre in media, il 25% in meno di francesi e tedeschi, dopo la cura del Suo governo detto divario è aumentato ed aumenterà ancora. Peggio di noi solo la Grecia, escludendo ovviamente l’America latina, il nord Africa ed i paesi dell’est europeo. Blocco del turnover fino al 2014, nessun rinnovo di contratto fino al 2018, trattenute per i giorni di malattia. Eppure vi dobbiamo ringraziare se per questo Natale ci lasciate le tredicesime e non ci tagliate gli stipendi.
Mi chiedo: che cosa c’è dietro tutta questa considerazione?
Siamo oltre tre milioni e mezzo, se contiamo anche le famiglie siamo un partito  più forte del Suo: dunque, a cosa è dovuto il “trattamento di favore” che Lei, con l’aiuto di “giornalisti” ed “economisti”,  ci sta riservando?
Qualche anno fa ho letto il libro “licenziare i padroni?” di Massimo Mucchetti alle prime pagine c’è scritto: 
la profezia di Cuccia
agli inizi degli anni novanta, l’allora presidente d’onore di Mediobanca era convinto che, per non alzare bandiera bianca, le grandi famiglie del capitalismo sarebbero migrate dalla manifattura ai servizi: dalla produzione di automobili, pneumatici, macchine per scrivere e personal computer alla gestione delle autostrade, dei telefoni, dell’energia elettrica e, chissà, del gas naturale (non immaginando ancora la sfrontatezza di includere tra questi anche l’acqua). I condottieri, che nel 1985 avevano conquistato la copertina del settimanale francese “L’Express”, hanno deposto l’armatura e si sono trasformati – loro stessi o chi ne ha preso il posto – in tranquilli tenutari di ex monopoli di Stato ai quali la liberalizzazione dei mercati non impedirà di assicurare guadagni elevati ancora per un lungo periodo. È il frutto avvelenato delle privatizzazioni, il risultato beffardo delle tariffe di favore riservate alle centrali elettriche degli eletti dal governo, il grande inganno della concorrenza presunta nel mondo della televisione che, in realtà, è solo il più perfetto dei cartelli duopolistici. Lo Stato imprenditore si sta rivelando l’ancora di salvezza di un capitalismo privato senza coraggio e senza ambizioni, singolare punto d’approdo di un padronato che per decenni l’aveva rispettato, temuto, corteggiato per averne protezione e qualche regalia.
Se Mucchetti aveva ragione, ed i presupposti per dargli ragione ci sono tutti, l’epiteto di “fannulloni”, con cui il Ministro Brunetta apostrofava i “travet”, serviva a dimostrare agli altri cittadini che le autostrade gestite dal privato funzionano meglio e sono più economiche, che i telefoni gestiti dai privati funzionano meglio e sono più economici, che l’energia elettrica gestita dai privati funziona meglio ed è più a buon mercato. Insomma che privato è bello mentre il pubblico fa schifo. Forse Sua Eccellenza il Ministro Brunetta  dimentica che il pubblico negli ultimi dieci anni, sempre escluso l’infausto periodo Prodi, lo ha gestito e lo sta gestendo Lei signor Presidente.
È poi vero che il privato gestisce meglio del pubblico?  L’attuale gestione di Telecom, e non solo, dimostrerebbe il contrario.
Sempre Mucchetti nel suo libro afferma, nessuno lo ha smentito, che nel periodo 1986-2001, le società quotate in borsa dallo Stato (Telecom Italia, Eni ed Enel) avevano prodotto ricchezza per 173.128 miliardi di lire, mentre le imprese private quotate in borsa (Italcementi, Pirelli, Montedison, Olivetti e Fiat) avevano distrutto ricchezza per un totale di 55.730 miliardi di lire.
Eppure, signor Presidente, tutte le forze politiche hanno concorso alle privatizzazioni, affidando a chi distruggeva ricchezza società pubbliche che producevano ricchezza. Ora che arrivano i nodi al pettine, sono i pensionati ed i dipendenti pubblici a dover pagare addossandosi il peso delle restrizioni.
Non Le sembra che tutti i politici o presunti tali che negli ultimi trenta anni hanno frequentato le aule di Camera e Senato dovrebbero trarre le dovute conclusioni?
Io, se fossi uno di loro, proverei un grande senso di vergogna, anche se avessi fatto la blanda opposizione che alcuni hanno fatto.
Penso ci siano tutti gli elementi per togliere agli ex politici il vitalizio e gli altri privilegi accumulati, come quello di riciclarsi in amministratore di ASL e/o Ospedali o di fare il dirigente pubblico.
Bisognerebbe istituire il confino per colpe di cattiva gestione del mandato politico. Invece, i politici, gli ex politici o presunti tali li paghiamo bene e li ossequiamo anche.
Ha ragione: siamo un paese ………………
Torniamo per un attimo ai numeri e alla loro potenza.
Dal sito della Ragioneria Generale dello Stato leggo che l’Italia incassa, con proventi vari, poco oltre 450 miliardi di euro e ne spendiamo poco più di 700, sempre miliardi di euro.  Questo avviene da un bel numero di anni.
Eppure, fino a pochi mesi fa Lei e Sua Eccellenza il Ministro Tremonti ci avete rassicurato che i conti erano a posto e che chi affermava cosa diversa era un catastrofista mentre l’Italia aveva bisogno di ottimisti.  
Se i dati non sono esatti o se ho sbagliato a leggere mi scuso, non sono un esperto di economia. Se fossero esatti Le chiedo era onesto fare affermazioni del genere?
Il pubblico impiego costa circa 82 miliardi di euro l’anno ma oltre 26 miliardi lo Stato li trattiene sotto forma di irpef. Restano 56 miliardi di euro di spesa che in parte rientrano nelle casse dello Stato come IVA e come accise varie. Il rimanente sono le uniche spese sicure che contribuiscono ad incrementare quelle poche produzioni che si fanno ancora in Italia. Deprimere gli stipendi pubblici significa deprimere il lavoro e la produzione dei privati. O sbaglio?
Inoltre, se per ipotesi buttaste fuori il 10% di professori, poliziotti o altri dipendenti pubblici risparmiereste 6 miliardi di euro l’anno, dato che il debito è di 1900 miliardi di euro per sanarlo occorreranno 316 anni. A chi volete darla a bere?
Sembra anche che l’interesse sul debito sia quasi pari alla spesa dello Stato per i dipendenti pubblici, cioè oltre 80 miliardi di euro: deprimendo la voce stipendi pubblici l’interesse sul debito dello Stato supererà quanto lo Stato spende in personale. Il personale pubblico serve per tenere in vita lo Stato stesso.  Per quanto tempo può durare uno Stato che ha pochi insegnanti, pochi medici pubblici, pochi poliziotti, pochi giudici e molti, forse tanti, politici?
Una volta gli operai venivano difesi da una parte politica che diceva: dobbiamo migliorare i salari e i diritti degli operai e rapportarli a gli stipendi e ai diritti dei dipendenti pubblici. Poi i nipoti dei politici che difendevano gli operai hanno scoperto i salotti buoni, le gite in barca, i maglioni di kashmir, gli appartamentini a NewYork e la politica dei Kennedy.
Hanno invertito la tesi politica ed hanno cominciato a dire: dobbiamo abbassare gli stipendi e i diritti dei dipendenti pubblici e rapportarli ai salari e ai non diritti degli operai. Ecco dove siamo arrivati e come ci siamo arrivati.
Mi verrebbe voglia di unirmi al coro e gridare: Berlusconi vai a casa!
Io Berlusconi non l’ho mai votato e Lei, mi creda, ha fatto di tutto per farsi detestare anche da quella parte dall’Italia onesta e produttiva che aveva creduto in Lei. Ascoltando poi il pensiero di chi dovrebbe sostituirla comincio ad avere seri dubbi.
La saluto, senza cordialità e senza acredine
                                                                                                                                                                                        Il Funzionario Pubblico                       
                                                                   Giuseppe Vella