domenica 23 giugno 2013

Ipotesi di rinnovo del contratto dei dipendenti della Pubblica Amministrazione



Sembra che il numero di dipendenti pubblici  (insegnanti, militari, ministeriali, enti locali, sanità ed altri) sia di circa 3.500.000 persone.
Ovviamente non parlo del ruolo dirigenziale già pingue e ben pagato.
Se, e sottolineo il se, il governo decidesse di dare 100€ al mese di aumento, dopo quattro anni di blocco degli stipendi,  avremmo una spesa totale di 4.550.000.000,00€ (quattro miliardi e mezzo).
A questa somma dovremmo aggiungere circa il 23% di oneri previdenziali a carico dello Stato mentre un 8,9%  sarebbe a carico del dipendente.
I signori del bilancio dello Stato direbbero che il costo totale dell’operazione è di € 5.596.500.000,00 (oltre cinque miliardi e mezzo di euro)
È così?
Gli oneri previdenziali a carico dello Stato, oltre un miliardo di euro, sono una sorta di partita di giro, escono dalle casse dello Stato ed entrano in quelle dell’asfittica INPS che comunque vada deve ricevere liquidità.
Sempre all’INPS andrebbero i  405 milioni di euro detratti al dipendente in busta paga.
Calcolando un’IRPEF media del 30% lo Stato tratterrebbe direttamente in busta paga (per i dipendenti pubblici e privati è così, l’IRPEF nemmeno la vedi)  un miliardo e 365 milioni di euro.
In pratica degli oltre 5 miliardi e mezzo iniziali ne restano da pagare realmente 2 miliardi e 780 milioni, molto meno della metà.
Soldi che, data la situazione, non rimarranno nelle tasche dei “fannulloni” italiani ma verranno spesi, pagando per ciò che si acquista un’IVA del 21%: altri 584 milioni che ritornano allo Stato.
Restano circa 2 miliardi e 200 milioni nelle tasche dei dipendenti pubblici e rappresenteranno un poco di ossigeno per commercianti, artigiani ed i pochi piccoli imprenditori che sono rimasti in Italia.
Come reperire le fonti di entrata?
I cittadini italiani posseggono 10 milioni di armi tra pistole, fucili ed altro, vedi la Repubblica del 31 maggio 2013.
Tassiamo il possesso dell’automobile, il possesso del televisore ma non tassiamo il possesso delle armi.
Una tassa di 100€ all’anno consentirebbe un’entrata di un miliardo di euro.
In Italia vi sono anche numerosissime reti televisive, tra digitale terrestre e satellitare, prendiamo ad esempio le 200 TV più grandi ed ipotizziamo che ognuna trasmette 300 spot pubblicitari al giorno (in realtà sono di più) e tassiamo di 50€ ogni spot, avremmo un’entrata di un miliardo e 100 milioni.
Sommando la tassa sulle armi e quella sugli spot avremmo finanziato il rinnovo dei contratti ai dipendenti pubblici.
Artigiani e commercianti farebbero ponti d’oro ad una soluzione di questo tipo.
Inoltre, per migliorare le entrate dello Stato, si potrebbe portare al 25% l’aliquota dell’IVA sui prodotti di lusso: gioielli e monili, barche, auto di grossa cilindrata, quadri d’autore, ecc..
Tanto per dare alla vecchia classe media l’impressione che c’è uno Stato che vuole riparare agli ultimi venti anni di gestione folle e sfrenatamente tesa all’ingrasso delle vacche già grasse.
Chi sarebbe certamente contrario?
Sicuramente parte del mondo imprenditoriale che dalla competizione globale sta uscendo con le ossa rotte.
Anche nel mondo imprenditoriale ci sono i fannulloni e gli incompetenti. O no?
Anche nel mondo imprenditoriale ci sono quelli che vivono di soli contributi statali.
Problema insormontabile: ogni miglioramento contrattuale dei pubblici dipendenti si porta dietro, a cascata, il rinnovo del contratto dei metalmeccanici e delle altre categorie di dipendenti privati.
L’industria delle armi sarebbe incazzatissima ed è una lobby di tutto riguardo.
I giornali finanziati da imprenditori ed armaioli tuonerebbero contro quest’affronto dei politici che, tra l’altro, hanno al libro paga.
Comincerebbero col dire, tramite giornali e trasmissioni televisive,  che in Italia ci sono troppi dipendenti pubblici.
Cosa non vera:  nel nostro Paese si contano 58 impiegati nella Pubblica amministrazione ogni mille abitanti, il livello della Germania è 54, in Svezia sono 135. “ Il Sole 24 Ore - leggi su http://24o.it/LVwkD
La ripresa, secondo l’imprenditoria italiana, si finanzia non dando forza alla domanda ma dando danaro direttamente alle imprese,  questo vorrebbe dire altri capitali all’estero e nuova evasione fiscale.
Se si finanzia l’impresa si è liberali, se si rinnova il contratto di lavoro ai dipendenti pubblici e privati si è comunisti ed i comunisti si sa mangiano i bambini, meglio evitare nuove stragi di innocenti.

                                                                                                                              giuseppe vella



martedì 30 aprile 2013

Come ti abbatto lo Stato Sociale

       
La pensione con il sistema “retributivo” era una sorta di patto generazionale:
i giovani lavorano e pagano la pensione ai vecchi.
Con il sistema “contributivo” è cambiato l’impianto.

Contrariamente a quanto si è portati a pensare, la pensione, dal punto di vista logico, non è più una prestazione sociale offerta dallo Stato, così come non lo è il vitalizio mensile pagato all'assicurato dalla compagnia d'assicurazione privata, con la quale era stata sottoscritta una polizza assicurativa sulla vita.  Infatti, la pensione non è altro che l'erogazione, nel corso della parte restante della vita dei lavoratori, successiva alla conclusione della loro attività di lavoro, di soldi del lavoratore, accumulati mese per mese con i contributi previdenziali, pagati sia dal lavoratore (l'8,89% del salario, e si vedono nella busta paga), sia dal datore di lavoro (23,81%, e questi non si vedono nella busta paga, ma vanno a comporre il costo del lavoro, che alla fine è circa il doppio dello stipendio netto del lavoratore).   Se non vi fossero i contributi previdenziali, gli stipendi dei lavoratori sarebbero del 32,7% più alti.  Insomma, la pensione, dal punto di vista logico, non è altro che il recupero dei soldi del lavoratore, che sono stati messi da parte obbligatoriamente sulla base di leggi dello Stato (es. 335/95, nota come riforma Dini), in quanto quest'ultimo ritiene che il lavoratore non sia così saggio da mettere da parte, nel corso della vita lavorativa, i soldi, che consentono poi di vivere serenamente, una volta conclusa l'attività lavorativa.
Massimiliano Paci  RAINEWS24

Pur essendo cambiata la logica dell’apparato pensionistico non è cambiato il sistema di gestione: lo Stato continua ad incassare, attraverso i suoi enti previdenziali, contributi che utilizza per pagare le pensioni.
E’ giusto?

Il cittadino paga sulla pensione l’irpef come se fosse un reddito, invece, con il sistema contributivo è solo una rendita da interesse sul capitale accumulato e pertanto dovrebbe pagare solo la trattenuta del 20%, come sugli interessi bancari.
E’ giusto?
 

Inoltre, la LEGGE 335/1995 ART. 1 COMMA 6 stabilisce che:
Ad ogni assicurato è inviato, con cadenza annuale, un estratto conto che indichi le contribuzioni effettuate, la progressione del montante contributivo e le notizie relative alla posizione assicurativa nonché  l'ammontare dei redditi di lavoro dipendente e delle relative ritenute indicati nelle dichiarazioni dei sostituti d'imposta.

Sembra che, quantomeno per i dipendenti pubblici, l’INPDAP non abbia mai inviato il citato estratto conto, impedendo al lavoratore pubblico di rendersi conto del suo stato pensionistico.
E’ giusto?

Da conti fatti un lavoratore accumula, in 40 anni di vita lavorativa,  con enormi sacrifici economici, circa 800.000€.
Soldi che gestisce l’ente previdenziale e, in caso di morte prematura del lavoratore pensionato, nulla resta alla famiglia.
E’ giusto?


Ad un lavoratore che guadagna 25.000€ lordi all’anno il datore di lavoro detrae l'8,89% del suo salario da versare in contributi previdenziali. Lo stesso 8.89% viene detratto a chi guadagna 250.000€.
E’ giusto?

La cassa integrazione ai lavoratori dell’industria viene pagata dall’INPS con i soldi della previdenza che non vengono investiti per garantire una pensione più equa ai lavoratori che smettono di lavorare.
E’ giusto?

Ci sarebbero ancora molte considerazioni da fare: è possibile continuare con questo sistema truffa?

Questa è la vita! ‘ncapo a me penzavo
Chi ha avuto tanto e chi nun ave niente!
Stu povero maronna s’aspettava
Ca pur all’atu munno era pezzente?

antonio de curtis  (totò)


Cosa succede con i vitalizi.

Le ultime disposizioni, in vigore fino ad ora, prevedono che ogni mese il deputato versi mensilmente una quota (l’8,6 per cento, pari a 1.006,51 euro) della propria indennità lorda, che viene accantonata per il pagamento degli assegni vitalizi. L’importo dell’assegno varia da un minimo del 20 per cento a un massimo del 60 per cento dell'indennità parlamentare, a seconda degli anni di mandato parlamentare e dei contributi versati. 


A decorrere dal 1° gennaio 2012, l'importo netto dell'indennità parlamentare, corrisposto per 12 mensilità, è pari a € 5.246,54, a cui devono poi essere sottratte le addizionali regionali e comunali, la cui misura varia in relazione al domicilio del deputato. Tenuto conto del valore medio di tali imposte addizionali, l'importo netto mensile dell'indennità parlamentare risulta pari a circa €5.000.
Tale misura netta è determinata sulla base dell'importo lordo di € 10.435,00, sul quale sono effettuate le dovute ritenute previdenziali (pensione e assegno di fine mandato), assistenziali (assistenza sanitaria integrativa) e fiscali (IRPEF e addizionali regionali e comunali).

Inoltre, l'importo netto dell'indennità scende a circa € 4.750 per i deputati che svolgono un'altra attività lavorativa.



Un parlamentare dopo cinque anni di mandato avrà versato di contribuzione (1006,51*60) 60.390,6€, al compimento dei 65 anni riceverà in cambio un vitalizio di (10435*20%) 2.870€ lorde al mese, cioè circa 2.000€ netti che sommerà alla pensione per l’attività principale svolta nell’arco della vita.

Se il parlamentare riesce a svolgere il secondo mandato le somme indicate si moltiplicano per 3 ed il vitalizio scatta a 60 anni.

Dunque, nel primo caso, l’ex parlamentare a partire dai 65 anni, fino agli 84 anni di vita media, riceverà (2.870* 13*19) 708.890€ a fronte di 60.390 versati.

Nel secondo caso l’ex parlamentare a partire dai 60 anni, fino agli 84 anni di vita media, riceverà (8610*13*24)   895.440€ moltiplicato per 3 (60% dell’indennità parlamentare) cioè 2.686.320€ a fronte di 181.170€ versati.

E’ giusto?


giuseppe vella









venerdì 5 aprile 2013

ELOGIO DEL LECCACULO





Leccaculo: trattasi di persona viscida che si comporta in modo estremamente servizievole per ottenere aiuti particolari da parte di qualcuno.
ODIO I LECCACULO OPPORTUNISTI, SEMPRE PRONTI A SCHIERARSI CON IL PIU' FORTE...
Il sostantivo leccaculo è composto dal verbo leccare (toccare più volte qualcuno o qualcosa con la lingua),  e dal sostantivo culo, parte del corpo che si trova tra le natiche.
Sempre il sostantivo leccaculo ha vari sinonimi tra cui arruffianarsi  e piaggiare cioè adulare qualcuno per un preciso motivo.
Leccaculo, come abbiamo visto, è un sostantivo che ha vari sinonimi ma nessun contrario, segno che nemmeno a parole è possibile individuare una persone completamente immune al virus.
Il leccaculo non deve essere confuso con il servile che è una persona vile che adula pur sapendo che non otterrà nulla in cambio.
Il bastian contrario non è il contrario di leccaculo bensì il contrario di servile, bastian contraria è la persona che per timore di apparire servile prova sempre ad opporsi ad ogni idea che non nasce dalla propria materia grigia.  La materia grigia di un bastian contrario è così contorta che non appena si distrae si dichiara contro ciò che lui stesso ha proposto. E’, in fondo, uno che ha paura di scoprire i propri sentimenti. 
Appartiene alla categoria di quelli che non li fotti e non li convinci.
I potenti o semplicemente chi ha un certo potere su qualcuno, è più esaltato dalla percezione dell’atteggiamento adulatorio dei cortigiani che dalla stima degli stessi cortigiani.
Ovunque vi sia una gerarchia, gli uomini cercano di scalarla con tecniche, atteggiamenti e strategie più o meno scorrette.   Tra queste l’adulazione è infallibilmente vincente.    
Più che i forti e gli arroganti, l’evoluzione ha favorito i servili e gli ipocriti.
Chi ha potere sembra dire al cortigiano:  “Mentimi, e prometto di crederti”.
Nelle attuali società rigidamente bloccate il “comportamento opportunistico” delle “lingue di miele” vive il suo trionfo e l’arte del lecchinaggio ha raggiunto una smisurata diffusione e vette inarrivabili.
E’ naturale, quindi, che il lecchinaggio, gratificando chi lo riceve, renda sempre meglio accetto chi lo effettua, garantendogli favori e vantaggi.
Sembra che l’adulazione provocherebbe, in chi la riceve ed in chi la effettua, l’aumento dei livelli di serotonina, un neurotrasmettitore che provoca una reazione piacevole ed euforizzante.
Da sempre il leccaculo è stato deriso ma anche invidiato ed addirittura su youtube a questo link: http://www.youtube.com/watch?v=rvtdmw2DtIc   
si trova un filmato con il manuale del perfetto leccaculo.
In questo manuale si afferma che i leccaculo sono persone che attraverso questa abilità riescono ad ottenere sempre ciò che vogliono.
Dunque, il manuale vuole essere di aiuto a chi desidera apprendere come lusingare una persona senza farsi scoprire.
Dice ancora, il manuale, che esistono dei comportamenti ad hoc per raggiungere l’obiettivo.
La pazienza è una delle virtù del leccaculo, che a volte deve lavorare sulla distanza, non deve assolutamente  desistere, anche se è disturbato da altri concorrenti.
Il leccaculo è lungimirante: guarda lontano, lecca oggi per incassare domani.

Regole:
  1.        adulate la gente alle spalle così non vi sospetteranno di piaggeria;
  2.        non fate mai gli stessi elogi a persone diverse;
  3.        siate piuttosto specifici nei complimenti;
  4.        dimenticate i complimenti che vanno bene per tutte le occasioni (es.  sei il migliore!);
  5.        usate dei paragoni (dite a tizio che è migliore di Caio, il confronto fa sempre piacere e fa sembrare il   complimento attinente alla realtà, così come invidiamo l’erba del vicino, ci lusinga sapere che c’è chi ci considera migliore di lui);
  6.       aggiungete al dolce della lusinga un poco di amaro, inserite qualche piccola, mi raccomando insignificante, critica in mezzo ai grandi elogi;
  7.       siate un po’ stravaganti se adulate qualcuno abituato alle lusinghe, cercate di complimentarlo con qualche cosa di indiretto;
  8.       individuate una debolezza del potente da lodare e lodate sperticatamente la virtù complementare  (es.: elogiate un taccagno per la sua generosità e  fate notare alla donna superba i suoi sprazzi di umiltà) ;
  9.        non siate mai sinceri quando vi si chiede di esserlo, chi ve lo chiede vuole dei complimenti e non la franchezza;
  10.    un sostegno amichevole vale sempre più della sincerità  poiché in certe occasioni anche la più piccola critica può essere interpretata come un’aspra censura.

Comunque, nella vita chi proprio non riesce ad essere un leccaculo si trovi qualche altra cosa da leccare.

Sempre da youtube http://www.youtube.com/watch?v=o6wm29VP5pg  possiamo ancora trovare:
il leccaculismo bestialistico materialistico pratico,  che è una prassi sempre molto diffusa cui si dedica una folta schiera di sbavanti mezzecalzette; donnette e ominidi inclini al baciastivali.
Costoro, privi di qualsiasi decente dote per emergere, si rifugiano in quella che è diventata una vera e propria disciplina di vita: la leccata.
La leccata è un’arte; c’è chi la dispensa così frequentemente da acquisirne una padronanza assoluta.
Tale sopraffina tecnica si sviluppa e si impone nel nostro sistema sociale sempre più gerarchizzato e burocratizzato.
Per piacere agli altri, per far carriera devi evitare di essere sincero, devi sottrarti dal dire ciò che pensi.
Meglio adulare, incensare, ossequiare, lodare, lusingare.
Ci sono diverse categorie di lecchini, si va dalla “lecchina lungimirante” , che slingua oggi per incassare domani, allo “slinguatore erga omnes” che sbava su chiunque lasciando la sua fetida saliva in ogni dove.
Ci sono poi quelli che agiscono per terze persone: i ruffiani, i lenoni, i prosseneti.
C’è inoltre la signorina starnazzate, la segretaria che decanta la bellezza della orrenda cravatta del capo ed è sempre pronta a portargli il caffè. Costei più che a leccar culi è incline a …………………………..

Il leccaculismo fa molti proseliti anche in quei loculi istituzionali che sono gli uffici pubblici.

L’impiegatuccio si arruffiana per una vita intera al fine di diventare qualcuno senza tenere conto che in realtà diventa solo qualcosa.
Per lui è normale baciar deretani a ripetizione pur di raggiungere un traguardo da decantare alla mogliettina insipida o il maritino fedifrago oppure sventolare il frutto delle leccate in faccia al collega della stanza accanto.
Il peggiore di tutti è il tipo servile che possiamo definire “leccaculo a prescindere” cioè colui che pur non avendo nulla da chiedere e da ottenere, lecca perché non si può mai sapere.
Nello stesso girone troviamo:
·         il “leccaculo giuridico” che è colui che si impegna a cercar norme o ad inventarne per ottenere il riconoscimento del potente;
·         il “leccaculo Collodiano” dove un giorno è travestito da gatto ed il giorno seguente da volpe, ma sempre con la lingua a penzoloni;
·         il “leccaculo etico” che, per darsi un tono, traveste di senso civico le proprie leccate.

L’allisciamento del prossimo, di colui che ti può servire, che ti può favorire non è una forma spontanea, bensì un calcolato metodo che esalta l’ipocrisia ed il servilismo.
È inquietante notare come l’homo lecchinus non abbia pudore di ridurre volutamente la propria dimensione morale.   
Se ci guardiamo intorno il mondo è governato da potenti che a loro volta sono da considerare ex leccaculo anzi sembra che ormai vige “l’etica del leccaculo”, una sorta di nuovo insieme di costumi che fanno rientrare nella normalità comportamenti censurabili, anzi  e proprio chi non gli riesce la leccata che viene visto come un immorale fuorilegge.
Cosa faremmo e come sarebbe triste la vita senza i leccaculo, essi sono una delle leve energetiche  importanti, si travestono, si erudiscono, si danno un tono e chiamano sana competizione la sfrenata corsa a chi lecca di più.
Ormai è così difficile distinguere i leccaculo dai non leccaculo, ciascun individuo, per lo meno una volta nella vita, dovrebbe fare una sorta di esame di coscienza e se sulla sua lingua non trova vecchi peli di culo e bene che si dia una regolata.
 Perché?
Perché non è mai troppo tardi.


giovedì 29 novembre 2012

Sistemi di potere

Si dice che un'associazione malavitosa crea un "sistema" quando impone comportamenti e norme non scritte.
Invece, un sistema democratico si ha quando i comportamenti e le norme sono scritte, soprattutto perché detti comportamenti e regole vengono emanate in nome del popolo.
Una ovvietà quella espressa, si sente la necessità di riaffermarla poiché, proprio in quanto ovvietà, molti la dimenticano o peggio la danno per assodata.
Un sistema malavitoso non ha sottosistemi ma sistemi che si scontrano, un sistema democratico ha molti e variegati sottosistemi.
Chi gestisce il potere deve lasciare ad altri la gestione di sottopoteri spesso condizionanti.
Questi sottosistemi lentamente, quando il potere è debole, si trasformano in caste e, sempre più spesso, sono loro a gestire il vero potere, talvolta anche all'insaputa del potente.
Berlusconi anni fa affermò di avere meno potere di chi dirigeva palazzo Chigi, cosa simile la espresse prima di lui Mussolini.  Eppure, i due, sia pure in epoche diverse, avrebbero potuto chiedere al popolo qualsiasi cosa.
Allora, il popolo, artefice e garante della democrazia, che ruolo ha?
Come dice la Costituzione gli appartiene la sovranità, non assoluta ma esercitata nei limiti della Costituzione stessa.
In quasi tutte le epoche storiche non c'è stata persona più infelice del sovrano, al popolo, in democrazia, è donata quindi la infelicità.   
Dunque, se vogliamo essere sovrani non abbiamo poi granché  da lamentarci.
Chi sono, in una democrazia, i sottosistemi?
Ne troviamo tanti.
I militari sono un sottosistema: io ti difendo dunque mi devi riconoscimenti (leggi decisioni sulle spese militari).
La magistratura è un sottosistema che però è in rotta di collisione con il potere politico.
L'imprenditoria è un sottosistema: do lavoro dunque mi devi rispetto, mi devi far pagare meno tasse e mi devi dare contributi pubblici.
I dirigenti di ogni ente pubblico si sono trasformati in casta: io traduco in atti le tue indicazioni dunque mi devi concedere libertà d'azione.
Se ne potrebbero aggiungere ancora tante.
Il fascismo forse aveva ragione: il corporativismo, in una democrazia, prevale sempre sul sindacalismo.
Infatti, negli ultimi trentanni i sindacati hanno smesso di difendere i lavoratori e si sono trasformati in lega delle corporazioni, ricevendo in cambio prebende di Stato (CAF, finanziamenti ai loro enti formazione, ecc).
Il filosofo britannico Roger Scruton ha affermato che non ha senso concedere diritti agli animali perché non li comprendono.
Quanto affermato da Scruton deve valere solo per gli animali?
Viviamo in un'epoca in cui gli uomini hanno deciso di non pensare, di essere edonisti ed egoisti ed hanno deciso di non difendersi più dalle caste e dai sottosistemi di potere.
In pratica hanno smesso di comprendere i loro diritti, di lottare per riaffermarli, di essere attenti su chi gli vuole sottrarre la libertà di esistere, si sono animalizzati.
Meritano ancora di essere considerati?



domenica 5 febbraio 2012

il sindacato che vorrei

Il movimento sindacale si è sempre differenziato dal corporativismo perché le lotte e le rivendicazioni sindacali venivano fatte considerando gli aspetti generali della società rispetto agli interessi della sola corporazione. Inoltre, il movimento sindacale teneva ben presente che gli interessi tra lavoratore ed imprenditore (che nel pubblico impiego diventa amministratore pro tempore) sono spesso contrastanti.
Le prime organizzazioni sindacali si chiamarono Società del Muto Soccorso e diedero inizio alla storia dei sindacati che si identificò con la storia dei lavoratori.
Operai, contadini, impiegati si  riunivano allo scopo di difendere gli “interessi” delle loro categorie tenendo ben in considerazione l’economia generale dell’intero paese all’interno del contesto storico economico.
Dunque, gli “interessi” non erano mai puramente ed esclusivamente economici, personali o di piccole corporazioni,  bensì si rifacevano al miglioramento collettivo di tutta una categoria o classe sociale.
Quali sono gli “interessi” della categoria dei dipendenti pubblici oggi?
Al primo posto metterei la dignità.
Quali lotte sono scaturite dalla definizione di “fannulloni” fatta da un ministro in carica?
Certo, all’interno dei dipendenti pubblici, a qualsiasi categoria appartengano, ci sono degli autentici fannulloni, cosa è stato proposto  per l’individuazione e l’isolamento dei fannulloni?
È dignitosa la trattenuta di parte di salario accessorio per ogni giorno di malattia?
È una norma in linea con la Costituzione?
Eppure non abbiamo visto grandi levate di scudi, neanche da parte delle organizzazioni dei lavoratori pubblici.   Gli indubbi abusi dell’istituto della malattia non si sanano con ulteriori abusi di legge e soprattutto sparando nel mucchio.
Tanti anni fa, ai tempi di Luciano Lama e, prima ancora, di Giulio Pastore, i dipendenti pubblici ricevevano ogni anno le note di merito dagli alti dirigenti. La pratica era divenuta motivo di ricatto e spesso i dipendenti erano completamente assoggettati e asserviti al volere di chi doveva redigere dette note di qualifica.
Alla fine degli anni sessanta le note di qualifica furono cancellate.
Sono ritornate a fine anni novanta come “valutazione della prestazione”.
Leggere una scheda di valutazione della prestazione è da brividi o da scompisciarsi dalle risate, eppure nessuno ne discute.
Al secondo posto metterei la partecipazione.
Come può il singolo dipendente partecipare attivamente alla programmazione delle attività dell’ufficio?
Non sono mai state né previste, né regolamentate riunioni periodiche tra dirigenti, funzionari e personale per il raggiungimento degli obiettivi degli uffici.
Anzi, gli obiettivi che la stessa Giunta stabilisce per i Coordinatori non vengono resi pubblici, come non si conoscono a cascata gli obiettivi degli altri dirigenti.
La pubblicazione degli obiettivi, che per alcune amministrazioni  sono pubblicati sui siti internet, è discrezionale o deve avvenire per legge?
Perché le organizzazioni sindacali delle amministrazioni che non pubblicano gli obiettivi  non ne richiedono la immediata pubblicazione per consentire la cosciente partecipazione dei dipendenti alla vita lavorativa dell’ente?
L’articolo 27 del dlgs 150/2009, tra l’altro, recita: una quota fino al 30 per cento dei risparmi sui costi di funzionamento derivanti da processi di ristrutturazione, riorganizzazione e innovazione all'interno delle pubbliche amministrazioni e' destinata, in misura fino a due terzi, a premiare, secondo criteri generali definiti dalla contrattazione collettiva integrativa, il personale direttamente e proficuamente coinvolto e per la parte residua ad incrementare le somme disponibili per la contrattazione stessa.
In una pubblica amministrazione che spreca fino all’inverosimile, il citato art. 27 è un articolo con cui si potrebbe fare la rivoluzione, coinvolgendo nel processo di ristrutturazione la massa dei dipendenti, eppure tutto tace, tutto cala solo dall’alto.
Al terzo posto metterei la trasparenza.
Come primo atto promuoverei una sorta di  election day dove tutti gli iscritti sanno che ogni due o tre anni ci si ritrova per eleggere i rappresentanti aziendali di quel sindacato e gli eletti parteciperanno alla elezione per gli RSU.   Non è bello vedere fermento sindacale solo perché a breve ci saranno le elezioni per gli RSU. Sarebbe bello ricevere ogni anno il bilancio su come sono state spese le quote sindacali.
So bene che chi fa sindacato spesso ci rimette tempo e danaro e che ogni centesimo è speso nell’interesse del lavoratore iscritto. A maggior ragione darei al lavoratore la soddisfazione di un bilancio consuntivo annuale.
La cosa più importate è, a mio avviso, chiedere trasparenza all’ente per cui si lavora.  Non è possibile che le leggi sulla trasparenza provengono solo da iniziativa politica e mai su richiesta dei lavoratori. A proposito di trasparenza ringrazio la Giunta Regionale della Campania per l’art. 18 della legge regionale num. 1/2012.  Sarebbe stato bello se la pubblicazione degli atti fosse il frutto delle pressanti richieste dei lavoratori, ma accontentiamoci.
Chiedere, anche veementemente, il rispetto della normativa non deve essere inteso come contestazione a fini politici, anche se negli anni passati abbiamo assistito all’assoluta acquiescenza a fini politici.
Mi piacerebbe un sindacato che non chiamasse “conquiste” i diritti e che ricordasse sempre l’articolo 36 della Legge Fondamentale dello Stato: Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa.
Mi soffermerei sul “proporzianata”, cioè essere in proporzione, in rapporto, in relazione, in corrispondenza, in equilibrio con le altre retribuzioni, non slegata, senza proporzione e rapporto.
John Donn, famoso poeta inglese del sedicesimo secolo, in un sermone considerata poesia, espresse un concetto secondo il quale nessun uomo è un'"isola", cioè può considerarsi indipendente dal resto dell'umanità. In una società “civile” nessuna retribuzione dovrebbe essere considerata solo in base a ciò che si fa, si sa fare o si dovrebbe saper fare, ma proporzionata alle retribuzioni del resto dell’umanità.
Il compito di un sindacato dovrebbe essere principalmente questo, chiedere, anzi pretendere, equità salariale in rapporto al salario dei più “fortunati”.
Altrimenti, quando si vivono momenti critici, quando si verificano fatti spiacevoli, nessuno deve dimenticare quanto detto da John Donne:
"E allora, non chiedere mai per chi suoni la campana. Essa suona anche per te".

martedì 3 gennaio 2012

il potere ed i suoi effetti

Che cosa è il potere?
Potremmo dare mille definizioni e forse saremmo costretti ad aggiungere sempre qualche cosa per dettagliare meglio la risposta.
Per una generica descrizione ricorriamo a Wikipedia:
  • In termini giuridici si potrebbe definire il potere come la capacità, la facoltà ovvero l'autorità di agire, esercitata per fini personali o collettivi.
  • Nelle altre accezioni il potere riguarda sostanzialmente la capacità di influenzare i comportamenti di gruppi umani.
Quindi talvolta è la capacità dell’individuo ad influenzare i comportamenti degli altri, cioè fargli fare  ciò che vuole, altre volte è l’autorità derivante dalla posizione che occupa la persona con il potere ad incidere sull’atteggiamento dei sottoposti.
In pratica, buona parte dell’attività del “potente” è fatta di coercizione sull’attività  del gruppo asservito.
Varie ricerche di psicologia sociale hanno tentato di stabilire gli effetti del potere sia su chi lo esercita che su chi lo deve subire.
All’università di Stanford fu riprodotto un ambiente del tutto simile ad un carcere e furono selezionati degli studenti, volontari, affinché svolgessero alcuni il ruolo di guardie ed altri il ruolo di detenuti. L’assegnazione dei ruoli avvenne casualmente.
L’esperimento fu sospeso dopo appena sei giorni, molto prima del tempo stabilito, per la drammaticità dei risultati.
I prigionieri, individuati solo da un numero, furono costretti ad indossare divise e ad avere una catena alla caviglia.
Le guardie indossavano divise, avevano manganelli ed occhiali riflettenti per evitare di essere guardati negli occhi.  Alle guardie fu concessa ampia discrezionalità nel trattamento dei prigionieri.
L’abbigliamento, le divise, serviva per porre i due gruppi in una condizione di deindividuazione, cioè per far diminuire nell’individuo la consapevolezza di se e  far aumentare la identificazione con le azioni intraprese dal gruppo.
Dunque, la perdita della responsabilità personale riduce la considerazione delle conseguenze delle proprie azioni, indebolendo i controlli basati sul senso di colpa.
L’umore dei prigionieri peggiorò progressivamente, sfiorando in breve la depressione, a nulla servì il tentativo di coalizzarsi.
Le guardie cominciarono ad intimidirli e ad umiliarli spezzando con facilità il legame di solidarietà che si era sviluppato tra i prigionieri.
Ognuno pensava a come salvare se stesso dimenticando che nelle situazioni di sottomissione e disagio l’unione è l’unica strada percorribile.
Dopo appena cinque giorni il comportamento dei prigionieri era docile e passivo, il rapporto con la realtà appariva compromesso da seri disturbi emotivi mentre per contro le guardie prendevano sempre più gusto in un atteggiamento vessatorio e sadico.
Al sesto giorno l’esperimento fu sospeso.

Che cosa succede a chi viene investito del potere?
·         La possibilità di accedere agli strumenti del potere  fa crescere la possibilità di esercitare il potere.
·         Maggiore è il potere usato maggiore è la convinzione da parte di colui che esercita il potere di controllare il comportamento degli altri.
·         Ogni volta che chi esercita il potere ha la sensazione che così facendo ne tragga qualche vantaggio percepirà l’altro in senso svalutativo. Tanto più se quest’ultimo non prova paura o se è incline all’obbedienza. Chi sfida il potere deve essere punito chi lo osserva senza discuterlo è indegno di considerazione.
·         Se il potere di una persona si accresce, aumentando la distanza sociale tra chi ha il potere e chi lo subisce, quest’ultimo sarà ulteriormente svalutato e la possibilità di una qualche relazione tra i due tende a scomparire.
·         La possibilità di esercitare il potere accresce la propria autostima, al limite può sfociare nell’esaltazione in cui si rischia di non usare più alcuna regola morale.

Ebbene, alla luce dei risultati della ricerca effettuata si può tranquillamente affermare che il potere produce effetti di natura comportamentale, condiziona i gruppi ed i gruppi possono condizionare le masse.
Forse sarebbe il caso che uno studio, meno traumatico di quello di Stanford, ma altrettanto approfondito, fosse portato a termine in ogni luogo di lavoro, non solo per verificare gli effetti su chi è investito di qualsiasi potere ma anche per verificare l’acquiescenza indotta in chi è sottoposto al potere altrui.
Uno studio altrettanto rigoroso sarebbe opportuno farlo anche su chi acquisisce potere con il sistema democratico: gli eletti dal popolo.
Questi ultimi, dopo il primo shock ambientale, sembra che anche l’assuefazione al privilegio in un primo momento crea disagio esistenziale, dimenticano di essere “eletti dal popolo” cominciando a pensare di essere diventati “eletti del popolo”.

02/01/2012

                                                                                                                      giuseppe vella

martedì 29 novembre 2011

Per un capitalismo dal volto umano

Alexander Dubcek leader della primavera di Praga fece titolare la sua biografia “un comunista dal volto umano”. Tutti sappiamo, purtroppo, come è finito il suo tentativo.
Dubcek, nelle sue memorie, onestamente ammise di avere errato nella interpretazione del pensiero della leadership sovietica, scrive: quella notte (quando arrivarono i carri armati sovietici) compresi quanto profondo fosse stato il mio sbaglio, le esperienze drastiche dei giorni e dei mesi che seguirono mi fecero capire che avevo a che fare con dei gangster”.
Dunque, dei funzionari di partito, anche uomini di Stato, pur di non deviare dalla strada che li aveva portati al potere che li aveva trasformati in casta, pur di non riformare lo status del potere che rappresentavano, dimenticando i principi filosofici di libertà ed uguaglianza a cui la loro dottrina si era ispirata, almeno nella fase iniziale, si trasformano, agli occhi di Dubcek, in gangster.
Eppure, quegli stessi funzionari di partito e/o uomini di Stato dicevano di agire in nome e per conto del popolo così come i monarchi del secolo precedente compivano angherie per volontà di Dio e della nazione.
Il senso è:  nel mondo cambiano gli orchestrali ma la musica è sempre la stessa.
Perché la leadership sovietica non consentiva riforme del sistema?
Perché nella storia dell’umanità i cambiamenti sociali sono avvenuti solo dopo sacrifici e lotte.
Infatti, Popper affermava che un sistema democratico resta tale solo se il popolo vigila attentamente sui suoi governanti, cioè si guadagna quotidianamente le libertà democratiche.
Avviene ciò?
La storia, dunque, la fa il popolo o come sosteneva Marx la fanno i potentati economici per motivi d’interesse?
Per rispondere occorrerebbero lunghe disquisizioni ed autentici filosofi.
Possiamo solo dire che ad un capitalismo senza scrupoli è seguito, in alcuni paesi, un comunismo perplesso, indeciso ed ansioso che ha lasciato in eredità un nuovo capitalismo selvaggio che ha elevato le leggi del profitto alla voglia di accaparramento.
Riusciremo, nel prossimo futuro ad avere un capitalismo dal volto umano?
Io credo di no, fino a quando il popolo non troverà la forza e soprattutto la guida per ribellarsi ai Marchionne di tutto il mondo.
Gad Lerner, nella sua gradevole trasmissione del lunedì, ha trovato il coraggio, di questi tempi ce ne vuole tanto, per riproporci un filmato su Marx con qualche interrogativo di fondo.
Se si può riparlare di Marx è bene ricordare che disse:
eppure, tutta la storia dell’industria moderna mostra che il capitale, se non gli vengono posti dei freni, lavora senza scrupoli e senza misericordia per precipitare tutta la classe operaia ad un livello di profonda degradazione.
Quando qualcuno ci parlerà di Marx sarà bene cominciare a meditare.